« Falo' », excellente parole, pour dire le feu de joie. On l’entend dans le titre de Cesare Pavese, La luna e i falo’, et dans « falo' » il y a aussi, dans sa courbure, la brûlure d’un été, la déchirure de tout ce qui est trop sec, et puis il y a encore, dans le fond du méandre de falo’, dans cette coupure, qui est l’accent, qui est frontière, le retour à des grands gestes mythiques, des rituels sauvages, païens, inconfortables.
[On peut aussi entendre, par jeu poétique, le « fallo ! », c’est-à-dire l’impératif de faire : « fais-le ! », et encore dans le même jeu des mots, le mot italien pour phallus : fallo. Tinto Brass a déjà joué sur ce jeu avec Fallo ! mais je ne pouvais pas ne pas le nommer, tant le phallus, dans cette référence antique, est important.]
Luisella Carretta et l’association Le Arie Del Tempo, dont j’ai sans doute déjà évoqué le nom, mais à qui je réserve un texte dans GEnove, a organisé, dans le cadre d’une manifestation qui se veut internationale (née à Naples et répandue en Amérique du sud, maintenant), une soirée poétique le 21 juin : lecture puis destruction des textes lus par le feu, dans un petit brasero mimant le grand fallo’ (la mairie ne souhaitant pas avoir un grand fallo Piazza San Brigida).
C’était donc La poesia e i falo’, evento realizzato dalle associazioni Le Arie del Tempo, Genova Inedita Cultura e la libreria FinisTerre, a cura di Silvia Bellerini, Luisella Carretta e Tina Cosmai.
Condivido il palcoscenico con Ines Amado, Massimo Bacigalupo, Donatella Bisutti, Viviane Ciampi, Fulvio Pereda, Raffaele Perrotta, Claudio Pozzani, Mirko Servetti, Giulio Viano e le Voce Incrociate (Silvia Ballerini, Luisella Carretta, Clara Corvetto, Carolina Cuneo, Alessandra Russo) per celebrare l’antico rituale di festa del ritorno della luce d’estate…
Paradoxalement, pour moi, cette date fatidique, littéralement, est celle du retour des jours courts, et celle de la mort des plantes, donc toute la période, l’été, est liée à la mort, à la destruction.
Cela j’avais essayé de la transcrire dans Eté, qu’on doit encore pouvoir trouver sur A(i)L, l’an dernier; Pour l’évènement, j’ai lu des extraits de ce recueil (dont un petit texte a été publié dans Po&sie grâce à Martin Rueff), à peine modifier, auqel j’ai ajouté un appendice. Je le reproduis ci-dessous, mais je reproduis, aussi, le texte du retour au pays du personnage de La luna e i falo’ de Cesare Pavese, en hommage.
Eté, 5
I.
L’été, chaque été, te retrouve plus lucide, l’œil plus aiguisé parce que le nom est propice à et est proche de / la mort.
Le soleil mord toute choses qui en retour semblent n’exister que pour traduire et justifier sa puissance.
Les cigales frémissent puis scient le paysage de leur sempiternel.
Peu avant l’aube les vents se lèvent pour nettoyer les soupirs de la nuit et les parfums rauques des amants ou des festifs.
Il y a des braises dans le feu qui ne cherchent pas à rivaliser avec la grande morsure du midi. Promesse recluse et abandon.
La prairie, hier enchantée, est grillée sur pied. Le rédiment des criquets est de maigre rapport.
Tour est fétu et le fétu aime la flamme.
Il semble que les cailloux poussent
La rivière vidange ses dernières eaux.
Des femmes, blondes, longues, et trop grandes, exposent la misère de leur résidence.
Je lis Cesare Pavese.
II.
L’été grimpe les collines comme un incendie et seul là-haut, plus proche la lune, tu peux recevoir de sa lumière liquide. Présomption rafraîchissante.
Des étoiles aux aiguilles il n’y a qu’un pas et c’est l’aube qui le cède la première.
Les grillons écornent la chaleur se réfugie sous les pierres. Il y a des bourdons solides qui délimitent des espaces.
La nuit grince et sous le faîte comme un arc tendu entre les promesses d’hier et le résidu que demain prépare,
une fenêtre se ferme.
les cris de l’amour s’éloignent en clapotis de fontaine égorgée.
Ce qui célèbre la nuit d’été s’appelle retour de l’enfant.
L’été est aussi un filet, et la nuit est ses nœuds.
ESTATE, 5 (traduzione di Luisella Carretta)
1.
L’estate, ogni estate, ti ritrova più lucido, con lo sguardo più acuto perché il nome è propizio e vicino alla morte.
Il sole morde ogni cosa; esse, a loro volta, sembrano esistere per svelare e motivare il suo potere.
Le cicale tremano e segano il paesaggio con il loro suono perpetuo.
Poco prima dell’alba i venti si alzano per diradare i sospiri della notte e i profumi rauchi degli amanti.
Ci sono le braci nel fuoco che non cercano di misurarsi con la grande morsa del mezzogiorno. Promesse imprigionate
e abbandono.
Il prato, ieri incantato è ora bruciato. Il contributo delle cavallette è di poco valore.
Tutto è fieno e al fieno piace la fiamma.
Sembra che i sassi crescano.
Il torrente si prosciuga dell’ultima acqua.
Donne bionde, lunghe e troppo alte mostrano l’indigenza del loro abitare.
E finalmente, leggo Cesare Pavese.
2.
L’estate risale le colline come un incendio, e tu da solo là in alto, più vicino alla luna, puoi ricevere la sua luce liquida. Presunzione rinfrescante.
Dalle stelle agli aghi c’è solo un passo: è l’alba che lo compie.
I grilli danneggiano il calore che si rifugia sotto le pietre. Ci sono ronzii solidi che delimitano spazi.
La notte scricchiola. Sotto il colmo, come un arco teso tra ieri e domani,
una finestra si chiude.
Le grida dell’amore si allontanano nello sciacquio della fontana sgozzata.
L’estate è anche una rete, e la notte sta nei suoi nodi.
…..
Appendice à Eté, 5
Litania della fin dei fiori
IBERIS PINNATA, addio
ARENARIA SERPILLIFOLIA, addio
SILENE ITALICA, addio
SILENE OTITES, addio
KANDIS PERFOLIATA, addio
LATHYRUS CICERA e LATHYRUS ANGULATUS, LATHYRUS SETIFOLIUS e APHACA, addio
CORONILLA SCORPIUS, addio
MEDICAGO LUPULINA, addio
PAPAVER RHOES e PAPAVERS DUBIUS, addio
E’ il tempo delle grande piante, dei mostri e delle cereale
E’ il tempo della cultura, dell’agrocoltura, della dominazione e del dominio, del programma, della macchina, della mietitura, della mietitrice, della mietitrebiatrice
E’ il tempo del pane e della morte avvenire
Benvenuta AGROMONIUM EUPATORIUM
benvenuta EUPATORIUM CANNABINUM
benvenuta ONONIS NATRIX
benvenuta ACHNATHERUM CALAMAGROSTIS
benvenuta ARRHENATHERUM ELATIUS
venvenuta AVENA, AVENULLA, BROMUS e FESTUCA
benvenuta CENTAUREA PANICULATA
benvenuta HYPERICUM PERFOLIATULM
benvenuta BUPLEUURUM PERFOLIATUM
benvenuta ODONTITES LUTEUS
Je lis Josè Saramago
NB. Ce texte ayant été improvisé, il conviendrait de mieux choisir, poétiquement, les plantes…
Cesare Pavese | La luna e i falo’ | Einaudi, 1950
C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba. Qui non ci sono nato, è quasi certo; dove son nato non lo so; non c’è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch’io possa dire « Ecco cos’ero prima di nascere ». Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi. La ragazza che mi ha lasciato sugli scalini del duomo di Alba, magari non veniva neanche dalla campagna, magari era la figlia dei padroni di un palazzo, oppure mi ci hanno portato in un cavagno da vendemmia due povere donne da Monticello, da Neive o perché no da Cravanzana. Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione.
Se sono cresciuto in questo paese, devo dir grazie alla Virgilia, a Padrino, tutta gente che non c’è più, anche se loro mi hanno preso e allevato soltanto perché l’ospedale di Alessandria gli passava la mesata. Su queste colline quarant’anni fa c’erano dei dannati che per vedere uno scudo d’argento si caricavano un ******** dell’ospedale, oltre ai figli che avevano già. C’era chi prendeva una bambina per averci poi la servetta e comandarla meglio; la Virgilia volle me perché di figlie ne aveva già due, e quando fossi un po’ cresciuto speravano di aggiustarsi in una grossa cascina e lavorare tutti quanti e star bene. Padrino aveva allora il casotto di Gaminella – due stanze e una stalla -, la capra e quella riva dei noccioli. Io venni su con le ragazze, ci rubavamo la polenta, dormivamo sullo stesso saccone, Angiolina la maggiore aveva un anno più di me; e soltanto a dieci anni, nell’inverno quando morì la Virgilia, seppi per caso che non ero suo fratello. Da quell’inverno Angiolina giudiziosa dovette smettere di girare con noi per la riva e per i boschi; accudiva alla casa, faceva il pane e le robiole, andava lei a ritirare in municipio il mio scudo; io mi vantavo con Giulia di valere cinque lire, le dicevo che lei non fruttava niente e chiedevo a Padrino perché non prendevamo altri bastardi.
Adesso sapevo ch’eravamo dei miserabili, perché soltanto i miserabili allevano i bastardi dell’ospedale. Prima, quando correndo a scuola gli altri mi dicevano ********, io credevo che fosse un nome come vigliacco o vagabondo e rispondevo per le rime. Ma ero già un ragazzo fatto e il municipio non ci pagava più lo scudo, che io ancora non avevo ben capito che non essere figlio di Padrino e della Virgilia voleva dire non essere nato in Gaminella, non essere sbucato da sotto i noccioli o dall’orecchio della nostra capra come le ragazze.